Ho vissuto la banca prima, durante e dopo la crisi. Ed è per questo che ho fondato un’azienda fintech

Interviste immaginarie con Pietro Cesati, founder di Soisy.


Pietro, nel 2015 sei passato improvvisamente dall’essere il capo del risk management di una banca a fondare una startup, come ti è venuto in mente di fare questo salto?

Ho fatto la carriera bancaria: ho vissuto il mondo pre-crisi, la crisi e la post-crisi. Proprio per questo ho perso fiducia nella possibilità delle banche di creare valore per i clienti e anche per chi ci lavora dentro. È difficile creare valore, ed è un mondo segnato da uno stigma sociale negativo. Quindi ho pensato che non fosse in grado di adattarsi al nuovo mondo del digitale. Me ne sono andato, e ho fondato Soisy.

Perché hai fondato proprio una piattaforma di prestito tra privati?

Seguivo il prestito tra privati fin dalla sua nascita nel 2005 e l’ho sempre trovato un modo più intelligente di fare il mestiere della banca: lascia più valore ai clienti, è più trasparente e genera meno rischi per il sistema bancario.

Su questo tema hai anche scritto un libro, Manifesto per una banca senza la banca. É il tuo requiem per la banca tradizionale?

Il sistema bancario ha dimostrato di avere avuto da sempre grandi problemi. Ogni dieci, venti anni, si manifesta una crisi bancaria che produce danni pesanti. Ora il digitale offre l’occasione di una rivoluzione: provare un business model in cui le persone possono prestare direttamente denaro ad altre persone, e questo attraverso una comunità digitale molto ampia, in cui per esempio uno spagnolo presta soldi in Estonia. Chi presta si prende dei rischi, ma sono rischi diffusi nel sistema, non in capo a poche banche, che proprio per quei rischi possono entrare in crisi. 

Ma in banca i depositi fino a 100 mila euro sono protetti, mentre nel vostro business model questo ombrello non c’è. Il prestito diretto è quindi un gioco rischioso.

È vero, l’investitore si prende il rischio. Ma diminuisce quello per il sistema nel suo complesso. Basta ricordare cosa è successo con la crisi delle “dot.com” nel 2001. Lo scoppio della bolla ha distrutto un ammontare di ricchezza mostruoso, quasi quanto quella dei mutui subprime, ma non ha avuto effetti sul mondo bancario. Perché? Perché riguardava tanti grandi e piccoli investitori che hanno scommesso su società quotate in Borsa, e poi fallite. L’impatto è stato terribile, molte persone hanno perso soldi o lavoro, ma con un effetto limitato sull’economia, perché non era coinvolto il sistema bancario. L’idea del libro è che il prestito tra privati spalma il rischio su molte più controparti e permette di difendere meglio il sistema bancario dalle crisi.

Rimane il fatto che ad assorbire le perdite sono i singoli.

É vero, ma questo rischio viene remunerato. Gli investitori di Soisy percepiscono tassi di interesse alti: quello medio di Soisy è il 9 per cento. E si può investire anche con la nostra Garanzia di Rendimento, che rende comunque circa il 4 per cento e abbatte considerevolmente il rischio.

Come funziona questa Garanzia?

Ogni investitore che la utilizza rinuncia a un parte del suo rendimento e alimenta un salvadanaio che verrà usato se uno dei prestiti coperti da questa garanzia non paga. È un cuscinetto, un modo per abbattere i rischi, che ovviamente dà un rendimento inferiore ma comunque al di sopra del mercato.

Insisto sulle perdite: senza Garanzia ricevo un tasso del 9 per cento, ma quanti sono poi i prestiti che non pagano?

In questo momento osserviamo perdite di circa il 2-3 per cento all’anno.

Non sarà perché siete partiti da poco?

Tutt’altro, siamo partiti nel 2017 e abbiamo già finanziato oltre 15.000 prestiti, di cui 5.000 hanno finito di pagare le rate. É una base statistica sufficientemente ampia per non creare sorprese.

Sono numeri rilevanti, ve li aspettavate quando siete partiti?

Veramente quando siamo partiti ci aspettavamo molto di più, ma scrivere i numeri su carta è sempre molto diverso da farli succedere in pratica. In questi anni abbiamo comunque avuto un tasso di crescita soddisfacente.

Di quanto crescete all’anno?

Triplichiamo i volumi ogni anno, è un tasso di crescita abbastanza tipico per le aziende fintech.

Quindi è vero che il fintech ha un successo crescente, perché secondo te?

Quella di fintech è una definizione ormai vasta che comprende aziende molto diverse tra loro, quindi non è facile trovare una risposta che valga per tutte. Rimanendo su quelle che innovano i tradizionali servizi bancari, in estrema sintesi il motivo per cui sono più brave a servire i clienti è che le aziende fintech sono nate in un mondo già digitale e non ci sono dovute adattare.

Perché questo è un vantaggio in pratica?

Innanzitutto perché sono nate già pronte per le grandi tendenze seguite dalle aziende digitali: grande specializzazione di prodotto e collaborazione con altre aziende. Prendi Soisy: copriamo una nicchia minima dei prodotti finanziari e questo implica che possiamo creare un prodotto di qualità superiore. D’altra parte però questo focus è possibile perché integriamo tutta una serie di servizi esterni che non dobbiamo ricrearci in casa.

Anche il fatto di aver potuto creare tutto da zero è stato un vantaggio?

Sì, anche il fatto di non avere ingombranti eredità tecnologiche è molto rilevante, perché ci consente di utilizzare tecnologie non obsolete. L’eredità più pesante che non dobbiamo gestire è però quella culturale: il digitale ti obbliga a seguire una serie di principi, come la trasparenza, che sono meno tipici nelle relazioni commerciali nel mondo fisico.

Detta così sembra che voi siate i buoni e chi opera fuori dal digitale no.

No, non è quello che intendo. Chi opera nel digitale non è necessariamente più corretto, ma è sottoposto a una pressione diversa: su internet il cliente può scomaprire in ogni momento con un click, quindi creare un rapporto di fiducia è essenziale e la trasparenza d’obbligo. In un negozio la faccenda è diversa, il cliente di fatto ha già scelto nel momento in cui ci ha messo piede. Non è quindi questione di essere buoni, ma di essere abituati a un certo rapporto con i clienti, molto sbilanciato a loro favore. Molte aziende che non vengono dal digitale faticano ad adattarsi, soprattutto nel sistema finanziario.

Quindi sono questi i motivi per cui il prestito tra privati funziona meglio?

In questo caso c’è anche qualcosa in più. Se ci pensi, il cliente bancario è solitamente insoddisfatto, si lamenta di un servizio scadente e che costa tanto. Le banche, dal canto loro, si trovano di fronte a un trilemma non facile da risolvere: devono soddisfare tre differenti necessità, quella dei propri azionisti, quella dei clienti, quella del regolatore. E visto che dopo la crisi i regolatori hanno imposto un carico regolamentare molto pesante, le banche hanno reagito smettendo di investire sui servizi ai clienti. E poiché gli azionisti vanno tenuti buoni, le banche hanno alzato le commissioni, dal bonifico a quella per continuare a restare clienti. Il risultato è quello a cui accennavo: un servizio scadente e molto costoso.

Il prestito tra privati questo non lo fa?

La piattaforma di prestito tra privati, come ogni azienda fintech, è un’azienda normale, non una banca. Non ha spese regolamentari su ogni credito che fa, ma mette in contatto due tipologie di clienti. L’unica cosa che deve fare è stare attenta alla soddisfazione di quei clienti: la metrica del nostro successo è se piacciamo, e se facciamo un investimento lo facciamo per la soddisfazione dei nostri clienti. E infatti anche noi abbiamo un rating di gradimento, dato dalle recensioni dei nostri clienti, che in questo momento ci danno 4,8/5 su Truspilot o 4,9/5 su Google.


Vuoi sapere i vantaggi del nostro modello per gli investitori? Clicca qui per la seconda delle nostre interviste immaginarie.

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In questi anni abbiamo ricevuto tantissime domande interessanti, sia dai giornalisti che da tutte le persone che seguono Soisy. Non tutte sono facilmente disponibili, perché sono su supporto video o magari non sono state proprio registrate. Abbiamo quindi provato a raccoglierle qui in una serie di interviste che abbiamo definito immaginarie, l’unico aggettivo che ci è venuto alla mente per descriverle.

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