L’impatto dello smart working: 5 motivi per facilitarne la diffusione

In questi giorni in cui i lockdown da coronavirus vengono rilassati in tutto il mondo occidentale, ci si chiede sempre più spesso quale potrà essere il futuro impatto dello smart working.

Modalità di lavoro praticata da pochi carbonari negli anni scorsi (tra cui Soisy), da febbraio è diventata un elemento fondamentale dell’organizzazione delle aziende di servizi. E adesso che non è più strettamente necessaria, il mondo si divide tra chi accetta la sua centralità anche in futuro, come Twitter o Facebook, che si sono impegnate a mantenerlo, e chi invece prevede, o addirittura auspica, che ritorni a essere sporadico, come il Sindaco di Milano Beppe Sala

Per noi in Soisy il lavoro in remoto (che ormai ci stiamo rassegnando a chiamare smart working) non è mai stato solo una modalità organizzativa efficiente, ma è parte dell’impatto che vogliamo avere come azienda.

Vorrei quindi ricordare qui i 5 vantaggi dello smart working che renderebbero positiva la sua definitiva diffusione.

Gli impatti positivi dello smart working


1. Resilienza alle crisi

La facilità di permettere alle persone di lavorare anche in situazioni di crisi, e quindi ai clienti delle loro aziende di non vedere interrotti certi servizi, è probabilmente il vantaggio più evidente dello smart working. Vista la forza con cui è emerso durante questa crisi e non necessita di grandi spiegazioni. Vale solo la pena ricordare che non riguarda solo le epidemie, ma anche altri eventi fortemente negativi, come le catastrofi naturali o gli attentati terroristici.

2. Rispetto dell’ambiente

Durante la il lockdown hanno fatto molto scalpore alcune immagini della NASA che mostravano il miglioramento del livello di inquinamento in Cina

In Italia l’andamento è stato analogo, e nelle fasi di ingresso e di uscita dal lockdown tutti abbiamo potuto sperimentare il crollo del traffico (persino il Milanese Imbruttito a fine febbraio aveva inserito il traffico ridotto al primo posto tra i vantaggi del coronavirus). 

Ora, il lockdown è stata una simulazione un po’ estrema di come un mondo in smart working avrebbe un impatto positivo sull’ambiente: visto che il traffico automobilistico è tra i principali responsabili dell’inquinamento e del riscaldamento globale, ridurre il numero delle persone che vanno al lavoro riduce entrambi.

3. Maggiore produttività

La bassa produttività è generalmente riconosciuta come uno dei grandi problemi dell’Italia, e più in generale come uno dei motivi per cui recentemente nei paesi OECD l’economica fatica a crescere ai ritmi a cui ci eravamo abituati.

Certo, la diffusione dello smart working non sarebbe sufficiente a rovesciare questa tendenza, ma l’impatto positivo sarebbe indubbio: la prima ragione per cui le persone decidono di lavorare in remoto è proprio la maggiore produttività. Questa affermazione poteva sembrare sorprendente fino a qualche mese fa, ma adesso che abbiamo sperimentato tutti lo smart working, credo che ci sia consenso sul fatto che permetta di lavorare meglio. È un fenomeno comunque confermato da studi accademici come questo di Stanford, che mostra un caso di studio in cui lavorare da remoto ha aumentato la produttività del 22%. Questo dà un’idea di quanto potrebbe essere rilevante il vantaggio derivante dalla diffusione di questa pratica in tutte le aziende di servizi, cioè poco più del 50% dell’economia italiana.

4. Riduzione del divario città-campagna

La maggior parte delle società avanzate vive una crescente divaricazione culturale tra città e zone rurali. È un fenomeno che si può osservare sia negli Stati Uniti che in Europa, ed è strettamente connesso con aspetti economici e politici. Basta osservare una mappa dell’elezione di Trump, del referendum sulla Brexit ma anche, a un livello più locale, delle recenti elezioni regionali in Emilia Romagna per rendersene conto.

Ora, non voglio certo sostenere che lo smart working abbia il potere di rovesciare un fenomeno che ha radici secolari. Certamente però sarebbe un elemento che spingerebbe nella direzione opposta. Uno dei motivi della divaricazione tra città e campagna è infatti che molte grandi aziende tendono a concentrarsi nella grandi città, dove hanno a disposizione un bacino di talenti sufficientemente ampio, e questo porta alla creazione di un’economia, e quindi di una cultura, molto diverse tra aree urbane e rurali. Con lo smart working basta una connessione internet funzionante per allargare questo bacino in maniera smisurata. 

Non è possibile dire in anticipo quale sarà l’impatto, ma anche solo la possibilità di confrontarsi ogni giorno con colleghi con un’estrazione diversa non può che contribuire a diminuire la polarizzazione culturale.

5. Maggiore felicità delle persone

Infine, il remoto rende più facile la vita delle persone e di conseguenza le rende più felici. Dalla stessa ricerca che ho già citato, emerge infatti che il bilanciamento lavoro/vita privata è la seconda ragione per cui le persone scelgono il remoto, ma credo che qui non servano dati o ricerche. Basta pensare al tempo risparmiato nel tragitto casa-lavoro, o alla flessibilità che si guadagna nella gestione della casa.

Ho notato per esempio che ultimamente Soisy è molto appetibile per donne con figli, un profilo non molto comune tra le aziende tecnologiche; la mia interpretazione è che, in un paese come l’Italia dove spesso il peso della famiglia ricade sproporzionatamente su di loro, in Soisy per le donne sia più facile gestire gli impegni confliggenti della vita privata e di quella lavorativa. 

C’è un’ulteriore importante dimensione da sottolineare: lo smart working concede a tutti la libertà di scegliere il posto di lavoro senza per questo dover scegliere il luogo di lavoro, che potrà essere un coworking, casa propria, un tavolo da pic-nic o un’alternanza di tutto questo insieme. È una libertà importante, che ha il potere di migliorare significativamente la vita delle persone.

Gli altri impatti dello smart working: gli svantaggi

Non mi piace mai parlare solo dei vantaggi di un’innovazione, senza considerare gli svantaggi. E i primi problemi dello smart working stanno già emergendo: per esempio, l’altro lato della maggiore produttività è la difficoltà a ritagliarsi spazi non lavorativi, e posso testimoniare che questo è un problema con il quale si fatica anche dopo anni di esperienza in remoto. È tuttavia un genere di problema che riguarda la singola persona, e che è risolto al meglio a livello individuale (esistono anche diversi strumenti che possono essere di grande aiuto).

La maggiore diffusione dello smart working potrebbe però anche creare problemi più generali, se questo rendesse meno forte l’attrattività dei grandi centri urbani: peggiorerebbe la situazione per chi ha investito sul loro sviluppo (es. sviluppatori edilizi, ma anche ristoratori), per le aziende di trasporto pubblico, per le amministrazioni locali. Ci sarebbe in generale il rischio di far entrare i centri cittadini in un circolo vizioso dove i minori fondi disponibili porterebbero a minori investimenti in qualità della vita e poi a un deflusso di persone che ridurrebbero ulteriormente i fondi.

È possibile che sia questo timore ad aver portato il Sindaco Sala al suo intervento contro lo smart working.

Ora, io credo che le grandi città diano un valore che va ben al di là dell’essere un generatore di posti di lavoro, e che anche in questo scenario potrebbero reinventarsi per mantenere la loro rilevanza. Ma se anche fosse vero che lo smart working ne minaccia la qualità, credo che l’approccio corretto di fronte alle innovazioni sia di accettarne la diffusione, sfruttarne i benefici e cercare di compensare chi non ha partecipato a questi benefici.

Poche innovazioni come lo smart working sono al tempo stesso così vicine alla diffusione e dotate di un potenziale benefico così elevato: sarebbe terribile se decidessimo di rifiutarlo solo per paura delle conseguenze.

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