SoisyLife
Pubblicato il 17 Gennaio 2017
Come abbiamo raccontato in apertura del primo post di questa serie, la nostra giornata in Soisy comincia sempre con lo stand up meeting. È una riunione tipica delle metodologie di sviluppo agile e noi l’abbiamo copiato dal nostro partner tecnologico Ideato.
I partecipanti sono connessi in videochiamata e a turno spiegano in 1-2 minuti cosa hanno fatto il giorno prima, cosa faranno quel giorno e se ci sono ostacoli che li bloccano. Se emergono divergenze, queste vengono affrontate in una riunione separata.
Lo stand up è tanto semplice da essere quasi primitivo. Io lo trovo affascinante per due motivi. Il primo è che riesce a sintetizzare la vita dell’azienda in pochi minuti. Il secondo è che sono le persone a definire le loro giornate e non qualcun altro a dir loro cosa devono fare.
È il simbolo più forte di quanto sia importante l’autonomia delle persone in Soisy.
Le ragioni per cui ci siamo organizzati in questo modo sono due.
Innanzitutto riteniamo che ogni persona sia il miglior giudice delle proprie priorità. Questo non esclude la possibilità che abbia bisogno di aiuto nel definirle, anzi uno degli obiettivi dello stand up meeting è proprio quello. Ma il presupposto è che ciascuno sia in grado di badare a se stesso.
Il secondo è che riconosciamo all’autonomia un ruolo essenziale nel motivare le persone, e alla motivazione un ruolo essenziale nel successo di Soisy.
Accettare questa considerazione richiede un particolare atteggiamento mentale, che chiamo abbracciare l’autonomia delle persone, in analogia a quel che facciamo con l’incertezza.
Questo è particolarmente difficile per il fondatore di una start up, che a un certo punto deve accettare che la propria creatura diventi il frutto di un lavoro collettivo e non solo un parto della sua mente.
La ricompensa però è altissima: un gruppo di persone motivate a spingere all’estremo il proprio potenziale, raggiunge risultati inaspettati.
Potrei scrivere molto altro su questo tema, ma mi limiterò a consigliare un libro e a raccontare un aneddoto. Il libro è Drive: The Surprising Truth About What Motivates Us di D.H. Pink che racconta le basi della motivazione molto meglio di quanto non saprei fare io.
L’aneddoto invece è questo: quando ero un ragazzino ero un lettore vorace e ho adorato anche libri normalmente considerati impervi come Il Maestro Margherita o Guerra e Pace. Eppure quando al liceo mi veniva imposto di leggere un libro andavo in tilt. Quello che normalmente mi sarebbe apparso un viaggio affascinante nella fantasia diventava all’improvviso una montagna da scalare con fatica. Lo confesso, alla fine di Conversazione in Sicilia ho comprato un bigino, salvo scoprire qualche anno dopo quanto fosse bello.
Qual era il problema? Che l’imposizione della lettura trasformava un gioco in un lavoro da fare. Ecco, in Soisy cerchiamo di fare esattamente il contrario, prendere un lavoro e trasformarlo in un gioco. Per avere persone motivate, certo. Ma anche per avere persone felici di quello che stanno facendo.
Concedere così tanta autonomia ha anche altre conseguenze.
La prima è sicuramente la fluidità dei ruoli. Poiché sono le persone a guidare la scelta delle attività, cadono i tradizionali limiti di ruolo.
Se Ciccio oltre a sviluppare in PHP ha un interesse per lo sviluppo di nuovi prodotti orienterà la sua giornata su entrambe le attività, così come Andrea si occuperà di rischio ma anche di product management e Carlo seguirà i clienti ma farà anche le foto per il sito.
Questo rappresenta un problema per Soisy? Secondo me no, anzi è un’opportunità di avere persone che ricoprono più ruoli e si divertono a fare quello che fanno.
Certo, occasionalmente ci sono attività noiose, che ci piace chiamare padúli. Serve un po’ di senso di responsabilità per alternarsi nel farle. È un po’ come quando in una squadra di calcio giocano 4 attaccanti: tutti sanno di doversi sacrificare.
Tipicamente i padúli emergono durante gli stand up. Qualcuno farà notare che una cosa va fatta ma nessuno la vuole prendere in carico. Il mio co-founder Andrea giocherá d’anticipo provando a scaricarla su qualcun altro. E cosí il padùlo si poserá per scelta unanime sulla sua scrivania.
La seconda conseguenza in realtà è un requisito: l’autonomia funziona bene se tutti hanno le informazioni che servono. Noi per non correre rischi adottiamo la trasparenza totale come “default mode”: non usiamo email ma tutto viene scritto in una chat di Slack che ognuno in Soisy può leggere. Anche le riunioni in remoto sono organizzate pubblicando in chat un link alla videochiamata. Chiunque può unirsi in qualsiasi momento.
Questo non significa che non ci possano essere comunicazioni confidenziali, in caso di necessità basta scrivere in una chat riservata. Però la modalità normale di comunicare è la trasparenza verso tutto il team.
La terza conseguenza è probabilmente quella più visibile nel nostro metodo di lavoro: l’organizzazione in remoto. Se l’autonomia delle persone è un valore dell’azienda, che senso ha chiudere le persone in un ufficio per farli lavorare?
Che ognuno decida in autonomia dove preferisce farlo. Del resto tutte le nostre riunioni sono in videochiamata, non è necessario essere in ufficio per partecipare.
Abbiamo un ufficio a Milano, ma sono le persone a decidere ogni giorno se andarci o no. Alcuni decidono di non andarci mai: vivono lontano da Milano, ad Ancona, Pescara o Trapani.
L’organizzazione remota ci permette anche di accedere a un bacino di talenti molto più ampio di quello presente in una sola città – non per un caso nessuno dei nostri sviluppatori vive a Milano, un mercato estremamente competitivo dove una start up come Soisy avrebbe faticato a trovare persone di qualitá cosí alta.
E poi a lavorare in remoto si scopre quanto possa essere più produttiva la giornata fuori dall’ufficio, senza interruzioni e senza riunioni impreviste.
Infine, anche il remoto contribuisce alla felicità delle persone, che possono organizzarsi la vita con molta più facilità.
Carlo per esempio l’estate scorsa ha seguito moglie e figlie che come ogni anno si spostavano in Sicilia dalla famiglia d’origine. Di giorno lavorava come al solito, ma di sera e nei weekend era a Trapani con loro invece che da solo in un’afosa Milano. O almeno credo fosse afosa, in quel periodo io lavoravo dalla Val Chiavenna…
Certo, ci sono anche svantaggi: alla lunga lavorare sempre da soli può essere alienante e spesso c’è il rischio che i rapporti con i colleghi restino superficiali. Per contrastare questi fenomeni noi 3 volte all’anno andiamo a lavorare tutti insieme nello stesso posto. Anche questa è un’occasione per aumentare la felicità dei Soisyani, e quindi scegliamo luoghi come la Val Pusteria o il Salento che offrono tanto una volta finita la giornata lavorativa. La spesa è più che compensata dal risparmio derivante da un ufficio più piccolo.
(Qualche scatto dall’ultimo retreat ad Ugento a settembre 2016)
Questa è Soisy, o meglio: Soisy nel gennaio del 2017.
Perché la nostra organizzazione cambia di continuo e mano a mano che affrontiamo nuovi problemi sperimentiamo possibili soluzioni.
In questo percorso uno degli ingredienti più importanti è non prendersi troppo sul serio. Più la visione che si segue è forte, più è necessaria un’equivalente dose di ironia per tenere i piedi per terra ed evitare che le idee diventino ideologia.
Del resto abbracciare l’incertezza vuol dire anche sapere che forse stiamo sbagliando tutto. Nel dubbio meglio farsi una risata.
Qualche volta, inevitabilmente, esageriamo. Come quando Andrea è riuscito a farci credere che stesse per arrivare un’ispezione di Banca d’Italia. Era il 1°di aprile e anche il giorno del lancio di Soisy ai clienti, ma lì per lì a nessuno è venuto in mente che potesse essere uno scherzo. Grazie Andrea per aver tenuto alto lo spirito, a volte può bastare molto meno.
Last word
Quando ho deciso di scrivere questo pezzo ho chiesto a tutti in chat in cosa vedessero differenze con i loro impieghi precedenti. Un po’ un esercizio di partecipazione, un po’ un tentativo di chiarire le mie idee confuse. La risposta più bella è quella di Marco, che segue tutti i giorni amministrazione, contabilità e questioni legali sparse. Eppure, tra una rogna e l’altra, ha colto meglio di chiunque altro lo spirito di Soisy. A lui la parola.
Lavorare in Soisy non è un lavoro. Noi lavoriamo, non “andiamo a lavorare”. Ognuno di noi, secondo me, non sta lavorando nell’accezione recente (negativa) del termine: non sta obbedendo a degli ordini e portando a casa lo stipendio che è più basso di “quello/a lì che non fa un cazzo mentre io mi sbatto e allora sai cosa ti dico? Non faccio un cazzo neanch’io”; ognuno di noi sta lavorando nella piena (nobile) accezione etimologica della parola nella quale vi è sì lo sforzo ma anche il fine, l’obiettivo: l’”aspera” e l’”astra”, il pain e il gain. Ognuno di noi fa quel che farebbe ma con il vantaggio di farlo insieme agli altri (riscontri, arricchimenti, miglioramenti, correzioni). Ognuno di noi sta rispondendo ad una propria necessità.
Siamo particolari (quasi unici) perché siamo liberi anzi, di più, “liberti”, visto che la libertà ce la siamo conquistata. “Fai ciò che ami e non lavorerai un giorno in tutta la vita” (più o meno il proverbio era così..).
PS: quando sono uscito dalla banca due anni fa, noi sarei mai stato in grado non solo di scrivere ma neanche di concepire un post di questo tipo. Ero convinto che le organizzazioni che conoscevo fossero moribonde, ma non avevo la più pallida idea di come crearne una nuova.
È stato un lungo percorso di apprendimento e di riflessione, nel quale prima ho dovuto distruggere quello che pensavo e poi ricreare nuove convinzioni.
In questo percorso tre gruppi di persone hanno dato un contributo decisivo, con l’esempio, la discussione e i consigli di lettura: i team di Ideato, e-Xtrategy e ovviamente di Soisy. Grazie.
Pietro Cesati – CEO & Founder Soisy
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Molto interessante. Condivido. Penso che siano considerazioni necessarie. Nel nuovo contesto economico-sociale il lavoro non può avere la stessa organizzazione che aveva in passato. Così come i metodi per misurare la produttività che è strettamente connessa alla motivazione personale e alla gratificazione, non solo economica, nel fare bene la propria professione.