Nella terra dei capi, come e perché abbiamo superato il management

Intermezzo: l’organizzazione partecipativa

 

Di solito le aziende sono organizzate secondo un principio molto semplice: ogni persona ha un manager, ogni manager ha un altro manager. Di manager in manager si risale fino all’amministratore delegato.

Il ruolo del manager è altrettanto semplice, almeno sulla carta. Ogni manager assegna le attività da fare al suo team, controlla il lavoro, prende le decisioni che gli spettano e riporta al suo manager quelle oltre le sue capacità.

I risultati condivisi che tutti devono raggiungere, di solito espressi nel budget e nel piano industriale, rappresentano gli strumenti di coordinamento tra i vari manager.

Un’organizzazione gerarchica come questa ha il vantaggio di essere semplice e prevedibile, anche se non manca la possibilità di complicarla inutilmente con riporti funzionali o organizzazioni a matrice. Ma è davvero adatta a una startup che opera in un mondo incerto?

Come ho spiegato nel mio post precedente, il nostro è un mondo dove domina l’incertezza e in cui l’unica cosa che sappiamo davvero è di non saper descrivere le relazioni causa-effetto.

Un mondo in cui la miglior strategia è testare, analizzare e reagire.

Un mondo in cui non esistono esperti con risposte certe.

In questo contesto, la tradizionale struttura organizzativa in cui le decisioni vengono prese dal vertice aziendale e i dipendenti si limitano ad applicarle ha tre difetti.

Il primo è che è difficile che un manager sia sempre in grado di proporre le soluzioni migliori. A maggior ragione se le informazioni che riceve sono filtrate e non osserva da vicino gli effetti della loro applicazione per imparare.

Il secondo è che quel che serve è un meccanismo per testare rapidamente le decisioni e modificarle sulla base dei risultati. Il fatto che le informazioni debbano a ogni esperimento “risalire” e “ridiscendere” la scala gerarchica, spesso in parallelo con altri flussi informativi, non facilita questa rapidità.

Il terzo è che le ripartizione delle decisioni in ambiti chiaramente assegnati costituisce un forte incentivo a limitarsi a fare il proprio lavoro e a non interessarsi delle decisioni che vengono prese, il che ha impatti negativi sulla consapevolezza e sulla motivazione.

 

Organizzazione partecipativa? Soisy!

Per evitare questi problemi in Soisy cerchiamo di aumentare il livello di partecipazione alle decisioni.

Aumentiamo così il numero di persone che generano idee e rendiamo più probabile trovarne di buone.

Inoltre, il gruppo di persone rappresenta un campione più rappresentativo della complessità del mondo ed è quindi già un primo test sulla bontà delle idee in questione.

Infine, tutti quelli che hanno partecipato al processo decisionale sono a bordo e potranno passare alle fasi di test e implementazione in piena autonomia.

Prendiamo per esempio il nostro team di sviluppo tecnologico.

In Soisy abbiamo 3 sviluppatori con circa 20 anni di esperienza a testa. Dopo lunghissime riflessioni abbiamo deciso di non dare nessun tipo di organizzazione gerarchica al team, perché non vedevamo nessun buon motivo per farlo.

Le priorità di lavoro vengono decise tutti insieme una volta a settimana, in una discussione con Andrea, il co-fondatore di Soisy che segue risk e product management.

I dubbi tecnici vengono risolti cercando le competenze migliori all’interno del team, o dedicando tempo all’analisi se queste competenze non sono presenti.

Il metodo di lavoro viene discusso quando emerge una necessità di cambiamento e deciso in maniera partecipata.

La situazione dello sviluppo tecnologico è evidente con una semplice occhiata alla kanban.

In una situazione del genere a cosa servirebbe nominare un Chief Technology Officer se non a gonfiare il suo ego?

 

Vediamo un altro esempio, che riguarda l’intero team.

In questo periodo stiamo studiando se esiste un modo per applicare il modello dei prestiti tra privati al mondo dei pagamenti tra persone in modo da renderli più semplici.

È un classico esempio di decisione su un problema complesso (e anche, ma in misura minore, complicato).

Per elaborare la soluzione stiamo facendo una serie di incontri con tutte le persone del team che hanno interesse e voglia di partecipare. In questi incontri seguiamo una metodologia che assegna ad ogni persona lo stesso spazio per proporre le sue idee e utilizza il voto a maggioranza per decidere quali sono quelle più interessanti. In pratica il nuovo modello di business da testare verrà elaborato dall’intero gruppo di lavoro.

In un metodo del genere la leadership non è assente. Innanzitutto, il fatto che il mondo sia incerto non significa che tutte le idee abbiano la stessa probabilità di essere validate. La conoscenza del mercato conta e premia una leadership di competenza.

Inoltre, quando avremo bisogno di convergere a una soluzione finale, questa dovrà essere solida, testabile e coerente con la vision e i vincoli economici di Soisy. In quell’ultima fase ci sarà bisogno di una leadership di ruolo e in quanto CEO e fondatore prenderò le decisioni necessarie per affinare il prototipo che andrà effettivamente sul mercato.

 

Rigidi o fluidi?

C’è un altro aspetto che non apprezziamo dell’organizzazione gerarchica ed è il fatto che sia rigida. Se a un certo punto serve un cambiamento è molto difficile modificarla e di solito tra le persone che la compongono si genera insoddisfazione.

Per esempio, immaginiamo un’azienda che vende 2 prodotti e quindi si è organizzata in due divisioni che seguono ognuna un prodotto. Se a un certo punto uno dei due prodotti comincia ad avere molto più successo dell’altro sembra logico che le persone si spostino da una divisione all’altra. Questa però è una transizione organizzativa, richiede analisi, impegno, decisioni. Saranno necessarie risorse sia materiali che immateriali.

Le persone coinvolte poi non vivranno positivamente il cambiamento: alcuni si sentiranno “perdenti” e avranno difficoltà motivazionali, altri si sentiranno “vincitori” e non accetteranno di condividere il loro lavoro con i nuovi venuti.

Se però l’organizzazione è fluida, se i ruoli assunti dalle persone sono basati sulle attività che fanno ogni giorno e non sull’etichetta che hanno nel diagramma organizzativo, allora sarà molto più facile adattarsi al cambiamento. Anzi, non ci sarà proprio bisogno di un cambiamento organizzativo, perché la transizione avverrà gradualmente.

 

E i manager?

Detto tutto questo, allora i manager a che servono? Non a pianificare, non a controllare, non a decidere, non a riportare.

Al momento infatti non esiste un ruolo di manager tradizionale in Soisy.

Il mio ruolo è quello che si avvicina di più, ma non faccio nessuna di queste quattro cose. Per lo più mi limito a stabilire i vincoli entro cui le persone si muovono – per esempio la vision di lungo periodo, o l’appetito al rischio, o come organizzarci.

E poi agisco da manager-facilitatore dando una mano a risolvere problemi. In questo caso mi capita ovviamente di prendere decisioni o rivedere il lavoro di qualcun’altro. Semplicemente, non lo faccio sulla gran parte delle attività di Soisy.

Questo risultato non era certo tra gli obiettivi che mi ponevo all’inizio e anzi ci siamo arrivati in maniera abbastanza inaspettata. Ma ne sono contento, perché comunque minimizzare il management porta vantaggi.

Nella mia esperienza solo una minoranza di manager dà valore all’organizzazione. Non perché non siano persone valide, anzi di solito sono i migliori a diventare manager. Il problema è che le promozioni spesso avvengono sulla base delle capacità dimostrate nel ruolo precedente, che sono diverse da quelle necessarie nel nuovo ruolo. Come ha genialmente sintetizzato il principio di Peter, “le persone raggiungono il proprio livello di incompetenza”. In certi casi poi si ha semplicemente necessità di “riempire una casella organizzativa” improvvisamente rimasta vuota, scegliendo il meno peggio tra i candidati disponibili.

Invece il lavoro richiesto a un manager tradizionale e soprattutto a un manager di manager è fuori dall’ordinario. Deve avere conoscenze abbastanza profonde per prendere le decisioni giuste pur non svolgendo attività concrete, motivare le persone, muoversi con successo nelle negoziazioni organizzative interne.

Pochissime persone sono in grado di fare tutto questo, molte meno di quelle che servirebbero. Per me la soluzione più semplice è eliminare proprio il ruolo e non dover neanche cominciare a cercarle.

 

Saremo così anche in futuro?

Tutto questo può sembrare un po’ prematuro per Soisy. Dopotutto, come abbiamo spiegato qui, non affrontiamo mai i problemi in anticipo e in questo momento la nostra dimensione è limitata: in organizzazioni piccole quasi ogni modalità organizzativa va bene.

Questo è però proprio uno di quei casi in cui preferiamo anticipare le soluzioni perché il rischio è troppo alto, esattamente come facciamo con il rischio di credito.

Vorremmo evitare il percorso di molte organizzazioni gerarchiche che scoprono i problemi del loro modello solo quando sono troppo grandi per intervenire.

Non sappiamo però quale sarà effettivamente il nostro modello organizzativo futuro.

Le organizzazioni sono loro stesse sistemi complessi ed è impossibile dire adesso quali saranno le nostre esigenze organizzative quando saremo più grandi. Servirà un percorso di esperimenti per trovare le soluzioni più adatte.

È possibile che questo modello regga anche su una scala superiore e che ci limiteremo a replicare il ruolo del manager-facilitatore per gestire l’aumento della complessità.

O che torneremo verso una versione rivisitata dell’organizzazione gerarchica.

O ancora che adotteremo un framework manageriale diverso, come ha fatto Zappos con holacracy (che non sembra però avere un tremendo successo).

Anche sul piano organizzativo applichiamo il metodo sperimentale. Qualche mese fa ci siamo presi un giorno per disegnare tutti insieme i valori che ci ispirano usando Lego Serious Play.

Uno dei 6 valori che abbiamo identificato è proprio che l’organizzazione è un veicolo con ruote e volante e starà a noi farla girare quando dovremo cambiare direzione.

 

Nel frattempo ci godiamo la corsa.

 

Credits immagini: Soisy | 2016 © Guido Mencari www.gmencari.com

 

Pietro Cesati – CEO & Founder Soisy

 

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